lunedì 15 febbraio 2010
Gli scontri a Milano e i morti di serie B
Sabato la mia fidanzata si è trovata bloccata in auto in viale Padova mentre intorno a lei divampava la furia degli scontri seguiti all'assassinio di Hamed, il ragazzo egiziano di soli 19 anni accoltellato a Milano. Vetri in frantumi, auto rovesciate, bottiglie che volavano a destra e a sinistra. Non è stato piacevole ma per fortuna, alla fine, è riuscita a tornare a casa sana e salva. Così, la sera stessa e il giorno dopo abbiamo seguito a lungo la notizia sui Tg nazionali e regionali. Ho sentito parlare di ghetto, di clandestini che andrebbero rastrellati casa per casa, di cittadini spaventati, di integrazioni razziali fallite, di gang criminali. Ho sentito le interviste ad autorevoli personaggi politici milanesi e non che, come al solito, facevano lo scarica barile delle responsabilità. Ho ascoltato le interviste dei milanesi indignati e dei commercianti della zona spaventati ed esasperati. Ho udito voci che chiedevano l'intervento dell'esercito, che pretendevano l'invio di più poliziotti. Ma per Hamed Mamoud El Fayed Adou non ho sentito spendere nemmeno una parola di pietà o di compassione. Eppure la sua unica colpa è stata quella, pare, di aver pestato il piede a un altro ragazzo, durante un sabato pomeriggio come tanti altri. Ora Hamed non c'è più. Lui non ha festeggiato San Valentino, nè lo festeggierà mai più. E io ho come l'impressione che a morire non sia stato un ragazzo di diciannove anni, ma "solo" un extracomunitario che, se fosse rimasto a casa sua, oggi sarebbe ancora vivo. Beh, io credo che davanti a tragedie come questa non esistano nè bandiere, nè confini, nè si possa fare distinzione alcuna. E se al posto di Hamed ci fosse stato uno dei nostri figli? No signori, la morte è uguale per tutti, dall'Alaska al Sud Africa e, come tale, merita uguale rispetto. E allora addio Hamed Mamoud El Fayed Adou, speriamo che qualcuno si ricordi di te e della tua giovane vita spezzata.
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